Galleria Vittorio Emanuele: parte il restauro per Expo. Ce lo meritiamo?

Tremilionidieuro scritti tutti attaccati (dà più enfasi) da tre sponsor privati, Prada, Versace e Feltrinelli. Vetrine storiche che vanno: l’argenteria Bernasconi chiude i battenti. Nuovi indirizzi dello shopping che vengono: Versace e la sua Medusa, appunto. Anche questa è la Galleria di Milano, quel passeggio nel cuore della bella città della Madonnina per la cui realizzazione, tra il 1865 e il 1877, vennero sventrati i palazzi fatiscenti medievali, furono aperti nuovi assi viari, si celebrava la Milano industriale fatta di cupole di vetro e di calcestruzzo.

Un po’ come avvenne per i grandi “passage” di Londra, Parigi, Napoli, Roma, Bruxelles, Torino (città che ancora mantiene le sue corti e le sue gallerie una dietro l’altra, come scatole cinesi), anche la Galleria di Milano oltre un secolo fa fu sinonimo di avventura e di progesso.

Per realizzarla il Comune indisse un concorso internazionale. Parteciparono in 176. Vinse Giuseppe Mengoni che, un po’ come un Gaudì meneghino, morì per un incidente proprio supervisionando la sua “Sagrada” Galleria.

Una Galleria che ne ha viste di ogni. Dagli aperitivi a base di “Zucca” alla “Rissa in Galleria” del pittore futurista Umberto Boccioni; dalle cene di Maria Callas, il cui tavolo resta ancora al Savini, alle proteste per salvare il McDonald’s oggi sostituito da Prada.

Erano vent’anni che la Galleria non si faceva “un ritocchino”.

Non un grande intervento, sia chiaro, qui si parla di ri-pittura. Una bella “rinfrescata” come si fa all’alba di una nuova stagione.

Per i comuni mortali si chiamano “pulizie di primavera”, per uno dei simboli della città si chiama progetto in vista di Expo 2015.

Obiettivo: con un cantiere all’aria aperta, lavorare alacremente 24 ore su 24 per far riemergere le tinte rosate del granito, quelle ambrate della pietra di Vicenza, quelle “d’acciaio” delle 330 cornici di finestre e 88 vetrine al loro splendore originario.

Il “Salotto” di Milano fa i “mestée”, come si dice in gergo.

A partire da oggi, dunque, sarà impossibile non notare un ponteggio sospeso, appoggiato con 4 piloni a sei metri d’altezza ed un cubo di 15 metri di larghezza per 14,5 di lunghezza e 20 di altezza del peso di 24mila chili, che viaggerà su binari lunghi 15 metri. Verrà piazzato permettendo i lavori graduali, “braccio dopo braccio”, vetrine dopo vetrine, maison dopo maison, senza interrompere il classico passeggio per le vie.

Passeggio… si fa per dire.

Sempre di più terrà di lotte tra clochard e ghisa, sempre più “piatto ricco” di turisti in visita a Gucci, Louis Vuitton, Savini, anziché alle librerie Rizzoli, Feltrinelli, Bocca – che minaccia ogni giorno la chiusura, mi azzarderei a dire che noi milanesi, questa Galleria, non ce la meritiamo affatto. Nè pulita né sporca.

Lasciata lì, con le palle del toro al vento o almeno, con un toro che avrebbe fatto una miglior fine se fosse passata di lì Lorena Bobbit anziché le orde di turisti in visita, ormai la Galleria non è più luogo di ritrovo, non è più crocevia né salotto.

E’ rimasto un passaggio, quello sì. Per le signore in tacco 15 di fretta con le borse dello shopping. Per i colletti bianchi e cravatta inamidata che sembra debbano precipitarsi verso qualche sala operatoria per un intervento a cuore aperto ed invece è solo uno studio di design. Per le scolaresche in gita (spesso forzata!) ed i giapponesi con l’ombrellino in su e le fotocamere puntate sulle insegne dei negozi. Non sui mosaici ed i decori.

La Galleria – ammettiamolo – è morta.

Provateci a passare di sera. Provate ad attraversarla in bicicletta. Provate a guardare in alto. Pure le trappole per i piccioni limiteranno il sogno di grandezza di una grande Milano che ci credeva, che voleva crescere, che aspirava a competere con il mondo. Questo accadeva un secolo fa.

Ce la faremo a riappropriarci di bellezza ed identità in vista di Expo? D’altronde, manca appena un anno.

Sono nata al Fatebenefratelli, zona Brera, una delle zone più bohemienne di Milano, che non poteva che portarmi alla laurea in Storia dell'Arte. Nel 2009 ho fondato Milanoincontemporanea per non metterla da parte.
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Riguardo a Paola Perfetti

Sono nata al Fatebenefratelli, zona Brera, una delle zone più bohemienne di Milano, che non poteva che portarmi alla laurea in Storia dell'Arte. Nel 2009 ho fondato Milanoincontemporanea per non metterla da parte.