Musica in Barona: al Biko soul-black’n funk e i TaxiWars in concerto

BIKO è un’Associazione culturale dal cuore soul-black’n funk recita il manifesto del Biko Club, dove abbiamo visto i TaxiWars.

BIKO è un’Associazione culturale dal cuore soul-black’n funk recita il manifesto del Biko Club. I TaxiWars che siamo andati a vedere mercoledì 1 marzo sono bianchissimi, ma suonano un jazz-funk vigoroso e meticcio, e… vengono dal paese natale del sassofono.

Il Biko Club si trova nel quartiere Barona, in via Ettore Ponti, zona Sud-Ovest ma sufficientemente lontano dalle luci del Naviglio da sembrare un’altra città. E se non fosse per le piccole locandine attaccate al cancello blu, sarebbe quasi impossibile notarlo dalla strada. Almeno fino alle 21.30. Perché dopo tale ora le persone che si radunano sul marciapiede davanti all’ingresso, pressoché unica presenza umana in una strada altrimenti priva di attrazioni notturne, sono un chiaro indicatore di attività socio-culturali in corso.

La sera dei TaxiWars è stata la mia prima volta al Biko, e ho trovato quello che mi aspettavo: un ambiente della giusta dimensione – sia in senso fisico che in senso traslato – per ascoltare, senza barriere palco-platea, musicisti e band in fase di emersione rapida e di respiro internazionale.

Tali sono i TaxiWars che, pur non noti al grande pubblico, hanno già ricevuto apprezzamenti da numerosi commentatori e giornalisti specializzati, soprattutto in campo jazz.

Avrei voluto prendere appunti sul mio telefonino durante il loro concerto, come faccio di solito per sopperire alla mia scarsezza di memoria. Sono però stato trattenuto dalle persone che erano con me, memori di un precedente concerto in cui Tom Barman avrebbe pubblicamente schernito un ragazzo che stava smanettando con lo smartphone di fronte al palco.
Con tale deterrente, non ho scritto niente, ma per quel che mi ricordo è stato tutto molto bello.
Fine della recensione.

Scherzo.


Partiamo dalla scaletta.

I brani del tour sono tratti da entrambi  gli album pubblicati ad oggi dalla band, l’omonimo TaxiWars del 2015 e Fever del 2016. Più ritmato il primo, leggermente più lento e atmosferico il secondo. Belli entrambi, ma il secondo, purtroppo, è di non facile reperibilità in Italia.

Suonati dal vivo guadagnano parecchi punti perché la parte improvvisata non è trascurabile, benché costituita da assoli relativamente corti, a beneficio della compattezza dei brani e della preservazione della forma canzone.

Tom Barman, personaggio celebre come leader de-facto dei Deus (prima band Belga ad avere un contratto internazionale, e conseguente visibilità su vasta scala) è l’elemento catalizzatore di questo progetto.

Appare però subito chiaro che:

  1. TaxiWars non sono propriamente un side-project dei Deus. Musicalmente c’entrano poco o niente. Perseguono tutt’altra direzione artistica, improntata ad un misto di jazz / funk dal suono asciutto e minimale eppure energico, basato sulla combinazione sax-basso-batteria senza “arricchimenti” da parte di strumenti armonici (piani o chitarre)
  2. La formazione non è centrata sul pur noto frontman, ma è fondamentalmente un trio addizionato di un cantante-animatore (Tom Barman, appunto) che in diverse parti del live set resta defilato per dare spazio alle improvvizazioni degli ottimi Robin Verheyen al sax, Nicolas Thys al contrabbasso, e Antoine Pierre alla batteria.

Ne scaturisce uno stile alla Back Door (geniale e avantissimo gruppo inglese dei primi ’70, finito purtroppo nel dimenticatoio, e di cui consiglio vivamente di procurarvi le ristampe su CD, non impossibili da trovare) con elementi di “spoken word” alla Gil Scott Heron; magari vagamente e in versione sbiancata, però a me lo ricorda.

Pur con tali rimembranze del passato, il risultato è assolutamente contemporaneo e privo di venature vintage. Senza velleità avanguardistiche ma neppure banale, e sempre godibile.

Il tutto si inserisce in una lunga tradizione belga di sperimentazione ed eclettismo musicale rock-jazz-etno-pop, che prosegue dai primi anni ’70 con risultati estremamente interessanti, difficilmente incasellabili in generi precotti, e poco inclini alle compromissioni commerciali. Penso agli Universe Zero, a Marc Hollander e i suoi Aksak Maboul, ai Tuxedomoon (adottivamente belgi), agli Zita Swoon

Non sto dicendo che i TaxiWars assomiglino ad alcuno dei suddetti, e neppure che i suddetti si assomiglino tra loro (anzi!), ma che il piccolo Belgio dimostra una grande vitalità nello sfornare musica particolarissima e poco allineata alle mode, probabilmente riflesso delle diversità che quella nazione porta al suo interno.

E poi stiamo parlando del paese dove, in pieno periodo romantico (nel 1841), fu inventato il sassofono. Vi pare poco?

Paolo Venturini

Che vita sarebbe senza musica e... Milano. Da Milano mi ero allontanato alcuni anni, pentendomene perché mi mancava da morire, e adesso che sono tornato voglio recuperare il tempo perduto. La musica, almeno quella, me la sono portata sempre dietro. Fra le due c'è però una connessione profonda, creata dai luoghi e dalle persone, che amplifica il piacere di entrambe.
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