Al Base Milano suona la rassegna ITALICA nuovi suoni italiani, ecco com’è

Al Base Milano suona la rassegna ITALICA nuovi suoni italiani, ecco com’è. Ovvero, riconciliarsi con la canzone italiana grazie alla rassegna “Italica” e a Massaroni Pianoforti.

Riconciliarsi con la canzone italiana al BASE, grazie alla rassegna ITALICA e a Massaroni Pianoforti

Negli ultimi anni avevo perso un po’ interesse per il cantautorato italiano. Negli anni ’00 mi ricordo un bel giro di autori con idee solide, e anche qualche incursione nella sperimentazione (Pino Marino, Cristina Donà, i Mariposa, i Marta Sui Tubi, Marco Parente, Paolo Benvegnù, Andrea Chimenti, ecc.). Dalla fine del decennio non avevo più trovato molte cose che mi intrigassero altrettanto; magari avevo cercato male, ma tant’è…

Un paio di settimane fa qualcuno mi ha segnalato tale Massaroni Pianoforti, pseudonimo di Gianluca Massaroni: “Ascoltalo, è bravo”. “Mah, lo dicono di tutti” ho pensato. Poi ho letto qualche recensione, ho guardato i suoi video su youtube… e c’è stato un “clic”.

È ora di riprendere contatto con la canzone italiana.

Ecco cosa mi ha portato al Base in questo Giovedì di metà Marzo, nella serata inaugurale della rassegna ITALICA_nuovi suoni italiani curata da Barnaba Ponchielli, che continuerà per un Giovedì al mese fino a Giugno, con 2 cantautori a data, sempre diversi.

Perché ci piace il BASE

Voglio dire prima di tutto che il Base non è il copia & incolla di club già visti, sa essere “cool” in maniera originale.

Alloggiato in uno degli spazi ex Ansaldo, all’angolo fra via Bergognone e via Tortona, dove hanno sede anche il Mudec e i laboratori di allestimento scenico della Scala, ha uno sviluppo a parallelepipedo lungo e dai soffitti altissimi, con travature in acciaio e cemento da edificio industriale – quale in effetti è – lasciate ben in vista. Molto minimale ma, fin qui, nulla di particolarmente originale.

I due elementi veramente distintivi sono:

  1. gli arredi anni ’50 – poltroncine, divanetti e tavolini – che, sparpagliati in maniera pseudo-casuale in platea, creano un’atmosfera da salotto di casa ingrandito, consentendo di svaccarsi a chi arriva presto a prendere il posto, e di socializzare a chi arriva più tardi (“Scusa è libero questo? Ti spiace se mi metto qui?”)
  2. Il bellissimo palco, molto spazioso e formato da piattaforme di legno posizionate a vari livelli, che degradano verso la platea senza soluzione di continuità con essa; anche qui la sensazione è di salotto esteso ai musicisti, di continuità pubblico-artista, come se si fosse tutti insieme a casa di amici a suonare e – grazie al bar adiacente – a bere.

L’unico neo è un’acustica non all’altezza, effetto della conformazione “industrial” del locale e dell’assenza di trattamenti. Il forte riverbero, forse meno fastidioso con altri generi musicali (elettronica, IDM), non giova al cantato.

Pazienza, perché comunque l’esperienza live al Base è complessivamente molto coinvolgente.

Ma torniamo al programma della serata.

In menu questa sera: Kama e Massaroni Pianoforti

Apre Kama, pseudonimo di Alessandro Camattini, con la sua band di scappati da Woodstock. Mi scuseranno, non ho resistito, ma sappiano che per me è un complimento. A soffermarsi sul look sembra di rubare spazio alla sostanza, ma vale la pena notare lo stile variopinto e retrò di questi ragazzi; a partire dallo stesso Camattini, berrettino calcato in testa e – attenzione! – santino di Bruno Lauzi attaccato alla chitarra, per proseguire con gli altri musicisti fra capigliature selvagge, kilt scozzesi, bassi Fender Precision, piani Wurlitzer, chitarre Gibson.

Kama esordisce (auto)ironizzando sulla presunta tediosità dei cantautori. Salvo poi proporre una frizzante performace pop-rock, più rock che pop, che di noioso ha ben poco. Pezzi ben scritti, melodici al punto giusto, eseguiti con energia, e abbastanza lontani dall’immaginario collettivo del cantautore introverso alla Georges Brassen.

Scartabellando fra passate interviste, scopro che fra gli ispiratori di Kama si annoverano Ivan Graziani (e solo per questo il Kama guadagna parecchi punti) e, guarda un po’, Bruno Lauzi (genio mai abbastanza omaggiato, che come pochi suoi contemporanei ha saputo ribaltare i vecchi schemi della canzonetta italiota, contribuendo alla notorietà di altri interpreti più che di sé stesso).

Tocca quindi a Massaroni Pianoforti che – nota per l’organizzazione – ha preso possesso del palco ad un’ora secondo me indegna per il “main act” della serata, pagandone lo scotto come quantità di pubblico. Errore segnalato per le prossime serate di Italica 😉

Autore dalla scrittura incisiva, mai banale, e informata del più illustre passato cantautorale italiano, senza però mai cadere nel citazionismo. Scrittura quindi consapevole di una certa eredità culturale, e certamente non mirata a cercare il facile consenso del pubblico.

Musicalmente si fanno apprezzare le splendide melodie, le armonie che coniugano raffinatezza e godibilità, e arrangiamenti più scarni che su disco (quella sul palco stasera è una formazione rock iper-classica: chitarra ritmica + chitarra solista + basso + batteria) ma non meno efficaci, grazie anche ad un uso strumentale della voce, che è duttile, profonda e potente all’occorrenza.

Il risultato è un impatto emotivo notevole, davvero notevole, tanto su disco quanto dal vivo, anche laddove al primo ascolto non si comprenda il significato di tutti i testi. Tutto scorre come se fosse facile, e invece facile non è per niente ottenere questa sintesi di tanti elementi.

E poi, personalmente, mi inebria l’odore di Fossati, Battisti, Buckley che si percepisce in diverse sue canzoni, ma non so quanti under 30… vabbè, lasciamo stare, che il rischio di bollatura matusa è in agguato.

Qui la mente torna al frustrante discorso della popolarità inversamente proporzionale alle idee, fenomeno in preoccupante inasprimento. Indentiamoci, non è che in passato – parlo prevalentemente degli anni ’70 – mancassero le banalità, ma erano controbilanciate da un significativo riscontro di pubblico per le cose più autoriali e… “impegnate”.

Mamma mia, che brutta parola ho usato: “impegnate”! Qualcuno starà già cacciando la testa sotto il divano dalla paura. Che poi in quegli anni io ero un infante, ma so che gli allora giovani Battiato, Area, De André, Jannacci, ecc. riempivano i palasport, quando ancora non si chiamavano “palastilisti”. E allora mi chiedo: ci sarà mai più un’epoca in cui la gente tornerà ad affollare teatri e arene per ascoltare giovani impegnati (che non vuol dire politicizzati) e talentuosi (che non vuol dire usciti da un talent show), rischiando al massimo di perdere una serata di imbesuimento televisivo?

Chiediamolo allo stesso Massaroni, al secolo Gianluca, con cui mi sono fermato a scambiare qualche parola alla fine del concerto, nonostante l’ora improba e la sveglia puntata sulle 6:40.

Al Base Milano, due chiacchere con Massaroni

La risposta è un sospiro seguito da uno “speriamo”.

Dal racconto del suo percorso emergono tutte le difficoltà di chi, nonostante le belle idee e una partenza che sembrava incoraggiante sul piano contrattuale, vede una strada tutta in salita per guadagnare visibilità presso un pubblico assuefatto a sentire troppe cose senza ascoltane mai alcuna (troppa informazione = no informazione) e convinto che i cantautori siano degli “straccia-co***oni” (sue testuali parole ).

Dopo un primo disco (L’amore altrove, del 2009) prodotto da un grande nome della canzone italiana – che non menzionerò perché non ha bisogno della nostra pubblicità – ma inspiegabilmente trascurato dallo stesso per gli aspetti promozionali, per i successivi due album (Non date il salame ai corvi, del 2014, e l’eccellente e recentissimo Giu, del 2017) il Massaroni si è auto-prodotto con raccolta fondi attraverso la piattaforma MusicRaiser. Da cui l’appellativo di “cantautonomo”.

Gianluca, confermando le impressioni che ho racimolato durante il concerto, mi spiega come i suoi riferimenti siano prevalentemente collocati nel passato della canzone italiana d’autore: nomi come Tenco, Fossati, Graziani, Battisti. Ed emerge una certa insofferenza – ampiamente condivisa dal sottiscritto – verso chi oggi si permette di considerare “vecchi” questi autori e chi si ispira a loro.

Nel caso di Massaroni, ispirarsi non significa clonare, ma fare proprio un approccio che richiede di osare, rischiare, parlare direttamente al singolo ascoltatore, cercare dentro di sé i temi per le proprie canzoni e quindi mettersi a nudo, usare immagini forti, scrivere partiture non scontate, e sfruttare la voce come mezzo espressivo, non come esercizio stilistico. Fare tutto ciò senza cadere nella trappola dei virtuosismi fini a sé stessi, è un equilibrio difficile da trovare.

Seguiamolo questo ragazzo, ne vale la pena.

Salendo sulla mia bici per tornare a casa, penso che questa serata trascorsa al Base mi ha fatto sentire bene, molto bene.

Non posso che consigliarvi di andare alle prossime date di Italica – mi segnalano la presenza di nomi altrettanto interessanti – anche perché per 7 euro l’alternativa sarebbe un drink all’arco della pace, e scusate ma… non c’è confronto.

Paolo Venturini

Che vita sarebbe senza musica e... Milano. Da Milano mi ero allontanato alcuni anni, pentendomene perché mi mancava da morire, e adesso che sono tornato voglio recuperare il tempo perduto. La musica, almeno quella, me la sono portata sempre dietro. Fra le due c'è però una connessione profonda, creata dai luoghi e dalle persone, che amplifica il piacere di entrambe.
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