Fantasia londinese al Biko club, con The Heliocentrics e Blue Lab Beats

Rieccomi al Biko a poco più di un mese: è uno dei locali milanesi con la programmazione più intensa, internazionale, e ambiziosa…

Rieccomi al Biko a poco più di un mese dal mio resoconto sui TaxiWars. Mi ero ripromesso di tornarci a breve, perché reputo che sia uno dei locali milanesi con la programmazione più intensa, internazionale, e ambiziosa dal punto di vista delle scelte musicali.
Evidentemente, nel lungo periodo, il mantenimento di una linea artistica coerente e una certa selettività nella proposta ripagano in termini di fidelizzazione di pubblico – benché relativamente di nicchia – visto che il locale lo ritrovo sempre pieno.
Andando dunque a campione fra la ricca programmazione del Biko, ho scelto una data che si preannuncia lunga e gratificante, e che prevede due band entrambe di eccellente livello.

Già l’analisi preliminare del palco, ben fitto di strumentazione come piace a me, con una gran dotazione di synth analogici, senza un centimetro quadrato di pavimento libero da effetti e cavi, fa intuire che direzione prenderà la serata.
Aprono i giovani londinesi Blue Lab Beats. Chi sono? Sarò onesto: mai sentiti prima. Come sono? Ora smetto di scrivere e me li godo, perché l’attacco è super-promettente, poi magari vi relaziono.

Rieccomi, giusto il tempo per abbozzare un’impressione durante il cambio palco. Solo una parola: fenomenali. Anche la gente intorno a me è divertita e affascinata. Sono un duo ma fanno per 4. Con l’aiuto dell’elettronica, si, ma fino a un certo punto. Avete mai visto uno che suona basso con la mano sinistra e il piano elettrico con la destra, alternando assoli alla chitarra? Mentre il suo socio fa tutto il resto con drum machine e campionamenti. Ne esce un soul jazzato, dalle sonorità vintage (Isaac Hayes ?) e contemporanee insieme, tanto groovy che neanche un palo della luce riuscirebbe a star fermo.
Il tutto senza far ricorso all’ormai abusato trucchetto di iniettare massicce dosi di hip hop per shakerare l’ascoltatore e, anzi, ostentando una notevole confidenza con l’improvvisazione alla vecchia maniera. Ripeto: stupendamente freschi.
Con l’uscita del loro album di esordio, la prossima volta li vogliamo vedere promossi da band di supporto a headliner!
Potrei già andare a casa pascio di quello che ho appena sentito, ma la serata non è mica finita qui. Adesso salgono sul palco gli ipnotici, psichedelici, lisergici, fantasmagorici, ineffabili, policromi…. The Heliocentrics ! E vedremo cosa se ne fanno di tutta quella strumentazione.

Se ne fanno tanto, anzi parecchio. Ma li spremono con cura i loro strumenti, perché da musicisti virtuosi e tecnici di esperienza quali sono (su tutti: Malcom Catto) riescono a organizzare la loro musica in un fluire organico e nitido, nonostante l’estrema stratificazione di suoni che – se non abilmente gestita – rischierebbe di degenerare in “mappazzone spaziale”.

Gli Heliocentrics vengono spesso classificati sotto il grande ombrello del jazz… ma ciò che sento stasera è secondo me più assimilabile alla psichedelica di frontiera di certi Pink Floyd d’annata (A sourceful of secrets), al Jazz rock aromatizzato al funghetto allucinogeno dei Gong prima maniera (trilogia Radio Gnome Invisible), e soprattutto ai viaggi spaziali dei “cavalieri cosmici” tedeschi dei primi anni ’70 come Ash Ra Tempel e Amon Duul II. E poi, certo, c’è l’evidente riferimento a quel pazzo scatenato di Sun Ra (vedi The Heliocentric Worlds of Sun Ra).
Questa già densa ricetta a base di psyc-funk-space è ulteriormente arricchita da una voce femminile potente e versatile, una di quelle voci che potrebbero fare qualunque cosa, una specie di Shirley Bassey dell’Est Europa (sono solo io a pensare che la può ricordare? Esagero?): trattasi della neo-acquisita vocalist slovacca Barbora Patkova. Particolarità del suo contributo è usare nei testi, oltre all’Inglese, anche quella che presumo essere la sua lingua d’origine.

In linea con l’immagine ieratica degli Heliocentrics:

  • il suonare tutto il concerto nella penombra, salvo qualche proiezione di pattern luminosi psichedelici;
  • il non concedere bis (in realtà ampiamente compreso nella generosa durata dell’esibizione);

il non presentare i membri della band, che se ne sono andati così come sono arrivati… quasi sfumando, come se fossero ologrammi trasmessi da un altro pianeta.

Una nota di merito va anche all’impianto e al tecnico audio del Biko che – come già osservammo per il Blue Note e il Santeria Social Club – sono determinanti nel mettere a fuoco la scena sonora in maniera pulita e dettagliata, permettendo di distinguere ogni particolare nell’articolatissimo wall of sound degli Heliocentrics. Questo non è né banale né secondario, perché fa la differenza fra ridursi le orecchie come due fette di pane tostato, o assecondare il proprio impianto uditivo lasciando che il contenuto musicale arrivi inalterato a cervello, cuore e piedi.

Paolo Venturini

Che vita sarebbe senza musica e... Milano. Da Milano mi ero allontanato alcuni anni, pentendomene perché mi mancava da morire, e adesso che sono tornato voglio recuperare il tempo perduto. La musica, almeno quella, me la sono portata sempre dietro. Fra le due c'è però una connessione profonda, creata dai luoghi e dalle persone, che amplifica il piacere di entrambe.
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