Serraglio, uno dei locali live ‘cult’ di chi ama Milano – RECENSIONE

Continua il nostro piccolo viaggio attraverso i luoghi milanesi della musica dal vivo che, se anche qualcuno lamenta la sempiterna e generica crisi, sono tanti, tantissimi. Ma mai troppi.
Che il Serraglio sia uno dei locali sulla cresta dell’onda è una non notizia. Al punto che mi chiedo come ho fatto a rimandare così a lungo la mia visita; forse perché mi dava fastidio l’idea di avere in tasca un’altra tessera oltre a quella ARCI, dei supermercati, dell’Ikea, della palestra ecc.. Però, insomma, la tessera ACSI del Serraglio costa una cifra veramente simbolica (€5) tale da essere ammortizzata già col primo concerto.

Quindi se da un lato si può legittimamente provare fastidio per il proliferare di associazioni culturali a cui iscriversi per avere accesso a tutta l’offerta “live” della nostra città, dall’altro lato bisogna considerare che il costo medio di un biglietto per un concerto in uno di questi circoli è ancora ragionevole e inferiore alla media europea.

E poi, accidenti, uno dei tre fondatori / gestori del Serraglio è il mitico Roberto Esposito, quello della fu Casa 139, luogo immerso – nel ricordo – in una specie di aura mistica e che mi donò infinite serate di godimento musicale. Gente, Roby è sempre stato un grande, non si discute, e mi ha fatto piacere rivederlo nel “direttivo” del Serraglio.

Aperto da fine 2015, il circolo Serraglio ruota attorno all’ampia sala da concerti, ricavata da una ex autofficina in zona Ortica, sonorizzata da un ottimo impianto audio, e priva di devastanti riverberi.

Ci sono spazi anche all’aperto e un’area di ristorazione con street-food, oltre alla zona beveraggi sovrastata dalla bella scritta “Rifornimento” (a ricordarci l’originaria destinazione d’uso del locale).
E a proposito di beveraggi, la ricetta del cocktail Dunk, nome del gruppo che sta per salire sul palco e suonare dal vivo il suo primo album, prevede:

2 parti di Giuradei (i fratelli Ettore e Marco),
1 parte di Verdena (Luca Ferrari),
1 parte di Marta Sui Tubi (Carmelo Pipitone).

La ricetta è di quelle da riempire per benino il locale.

Rock pieno e tondo, con alcuni guizzi di virtuosismo – manifestazione della ricca esperienza dei 4 – senza arrivare all’autocompiacimento di certo barboso prog di maniera. Ma anche senza annacquamenti, senza cedimenti, senza aver paura di suonare vecchi e senza neppure voler sembrare a tutti i costi contemporanei. Un rock angolare e potente ma non rumoroso, a tratti solenne, a tratti ironico, tendenzialmente melodico, che non guarda alle mode, che tira dritto sui suoi binari come se questi 4 suonassero insieme da un paio di vite.

I caratteri dei musicisti si compensano e si bilanciano alla perfezione: l’approccio cantautoriale obliquo dei fratelli Giuradei, le granate acrobatiche e precise al quarzo di Luca Ferrari, le chitarrate schizoidi irriducibili incontenibili incontemplabili ineffabili e inenarrabili di Carmelo Pipitone.
Amalgama perfetta. Detta così, i Dunk potrebbero quasi sembrare una noiosa congrega di professionisti arrivati alla soglia degli ‘anta con più mestiere che arte.

E invece no, perché è nella scrittura l’elemento bizzarro e sopra le righe, che ad ogni brano mi strappa un sorriso, facendomi pensare un poco ai grandissimi Mariposa – certamente non assimilabili nel suono, bensì nella ricerca musicale e verbale – ho detto un’eresia?

E sull’asse della ricerca musicale e verbale sono certo che i Dunk hanno il potenziale per continuare a sviluppare idee, debellando completamente il rischio di paragone/confronto con i rispettivi gruppi di provenienza, eredità certamente significativa non necessariamente condizionante.

È bello pensare che il mondo del pop-rock sia “open” come quello del jazz, in cui i musicisti si incrociano e si scambiano in decine di formazioni diverse, senza perdere la propria identità personale ma al contempo creando, ad ogni permutazione, qualche cosa di unico.

Comunque… i Dunk saranno in tour fino a metà estate, quindi a chi legge per sapere come sono stati, in estrema sintesi: sono bravi, andate a vederli, ne vale la pena.

Paolo Venturini

Che vita sarebbe senza musica e... Milano. Da Milano mi ero allontanato alcuni anni, pentendomene perché mi mancava da morire, e adesso che sono tornato voglio recuperare il tempo perduto. La musica, almeno quella, me la sono portata sempre dietro. Fra le due c'è però una connessione profonda, creata dai luoghi e dalle persone, che amplifica il piacere di entrambe.
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