Burt Bacharach live Teatro degli Arcimboldi – la RECENSIONE

90 anni di età, dei quali 60 di monumentale carriera condensati in 2 ore e 20 di concerto. Questa la scheda tecnica dell’evento.

90 anni di età, dei quali 60 di monumentale carriera (del 1958 il suo primo successo: Magic Moments), condensati in 2 ore e 20 di concerto, con l’aiuto di 12 compagni fra musicisti e cantanti, di fronte ad una sala da oltre 2300 posti, a occhio e croce tutti pieni. Questa la scheda tecnica dell’evento.

Vedere Burt Bacharach dal vivo era da troppo tempo nella mia lista dei desideri. L’aggiunta della data milanese al suo tour (oltre a quella romana del 25/7, le uniche in Italia) è stato il segnale che non potevo più rimandare. E la tentazione di scriverne è stata irresistibile, al netto di dubbi di coscienza del tipo: chi mi credo di essere, per permettermi di dissertare su Mr. Burt Bacharach?

Se è vero che questa considerazione può valere anche per altri musicisti che ho avuto il privilegio di recensire su Milanoincontemporanea, nel caso di BB la soggezione è ai massimi livelli, la sindrome di Stendhal acutissima, così come il nodo alla gola che dal primo all’ultimo brano ha tenuto paralizzati noi fortunati spettatori di questo evento.

Assistere ad un concerto di BB è come compiere un viaggio attraverso almeno tre dimensioni:
1. nella storia del “pop d’autore”, dalle prime forme di ibridizzazione fra la canzone di origine europea e l’R&B afro-americano, fino ad oggi;
2. nella parte migliore dell’America, quella che nonostante tutto ci faceva ancora sognare, quella del cinema dei Newman, dei Redford, e delle commedie di alta classe;
3. nei nostri ricordi, senza barriere anagrafiche (credo che tutti, anche quelli che non sanno di conoscerlo, anche i bambini, abbiano almeno una melodia di BB incastrata in qualche sinapsi celebrale).
Fisico asciutto, t-shirt bianca, sneakers, e soprattutto l’immancabile blazerino scuro – come lo Stainway gran coda che troneggia sul palco – BB presenta i suoi leggendari pezzi con quell’inconfondibile timbro rauco e pacato e quella discreta gestualità che riflettono un insieme di eleganza, passione, gentilezza, rispetto e amore per il proprio pubblico.

Questa è in assoluto la prima canzone che [Hal David ed io] abbiamo registrato con Dionne Warwick. Noi siamo stai molto fortunati a trovare lei… e lei è stata molto fortunata a trovare noi [risata]”. E parte Don’t Make Me Over seguita da Walk On By, che danno inizio ad una serrata successione di brani vecchi, meno vecchi e recenti.

Alcuni appena accennati e cuciti insieme in forma di medley, altri eseguiti integralmente. Alcuni interpretati dagli eccellenti vocalist della band, altri da BB in persona, come ad esempio Alfie e A House Is Not A Home, con quella indimenticabile voce così splendidamente sbilenca e imperfetta che ha fatto scuola (ma l’originale rimane sempre riconoscibile alla prima sillaba).

Esecuzioni tutte da brivido, nonostante le sezioni d’archi di un tempo siano sostituite da più compatte e meno poetiche tastiere digitali. Difficile selezionare qualche highlight dalla scaletta; ma se proprio mi fossero estorte con la forza, le mie preferenze andrebbero, di poco, a Anyone Who Had A Heart e A House Is Not A Home, per l’incredibile dinamica, e a Any Day Now, intrisa di soul come un babà al rum.

La scaletta completa? Prendete il cofanetto antologico “The Look Of Love” pubblicato nel 2001 e scorrete l’indice delle canzoni: le ha suonate quasi tutte, più un paio di brani dall’album-capolavoro “Painted From Memory” con Elvis Costello del 1998, e alcune recentissime composizioni. Come dire: una sorta di patrimonio UNESCO della canzone.

Canzoni che parlano – indirettamente, perché non si tratta di testi ‘impegnati’ – di un’America che non esiste più, e per la quale BB non nasconde un profondo rimpianto. Non per una mera questione nostalgica ma perché, come ha ripetutamente e poco velatamente rimarcato negli intermezzi fra un brano e l’altro, non si riconosce più in un Paese dove paura e divisione hanno prevalso su amicizia e unione.

Altro aspetto che mi ha colpito è l’atteggiamento anti-divistico di BB che, ritagliandosi un ruolo più di gran cerimoniere del concerto che di frontman narcisista, concede ampio spazio e risalto ai vari membri del suo gruppo. E di tanto in tanto si sofferma a scherzare con il pubblico; in particolare con gli esponenti del Burt Bacharach Official Italian Fan Club, schierati nelle prime file della platea e dotati di t-shirt con l’effige del maestro, indossata anche dal maestro medesimo – l’ho sbirciato in una foto – al suo arrivo agli Arcimboldi nel pomeriggio. Grande Burt!

Paolo Venturini

Che vita sarebbe senza musica e... Milano. Da Milano mi ero allontanato alcuni anni, pentendomene perché mi mancava da morire, e adesso che sono tornato voglio recuperare il tempo perduto. La musica, almeno quella, me la sono portata sempre dietro. Fra le due c'è però una connessione profonda, creata dai luoghi e dalle persone, che amplifica il piacere di entrambe.
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