L’Olimpia di Milano veste di grafica Campo Marzio di Roma

Tra Olimpia Zagnoli, grafica milanese scoperta negli Stati Uniti, e Campo Marzio, maison di accessori romana, è nata una collaborazione che lascia il segnocontinua a leggere L’Olimpia di Milano veste di grafica Campo Marzio di Roma

Arte come terapia: 21 artisti rinnovano la Casa Pediatrica del Fatebenefratelli di Milano

Milano città dal cuore d’oro. Milano attenta ai giovani, bambini e adolescenti malati, e alle loro famiglie che nella Casa Pediatrica dell’Azienda ospedaliera Fatebenefratelli hanno trovato la loro seconda casa. Purtroppo. Se passare giorni in ospedale per semplici analisi o lunghi periodi di cure non sono il massimo per un adulto, figurarsi per dei minori…

Ed è proprio per questo motivo che è nato un meraviglioso progetto di solidarietà che combina il fare del bene con il mondo dell’arte e del design: il tutto per rendere l’ambiente della Casa Pediatrica più accogliente e a misura di paziente.continua a leggere Arte come terapia: 21 artisti rinnovano la Casa Pediatrica del Fatebenefratelli di Milano

Milano design ricorda: Com’eravamo….noi che il design lo usavamo senza saperlo

C’è un clima di revival a Milano. Non so voi, ma noi di Milanoin l’abbiamo notato. Su quotidiani come Corriere.it si affollano le cartoline da una Milano scomparsa, recuperata attraverso gli album di famiglia. Su Facebook, gruppi come “FOTO MILANO SPARITA (PAGINA)” ogni giorno toccano il cuore e parlano di luoghi che spesso non ci sono più a noi che ancora tentiamo di conservarli, almeno nel ricordo e nella cultura. Al Museo di Fotografia Contemporanea di Villa Ghirlanda (via Frova 10, Cinisello Balsamo) le Storie dal Sud dell’Italia raccontano un arrivo a Milano fatto di sogni e valigie di cartone. E poi? E poi ci sono gli oggetti di uso comune.
Con “SÙEGIÒ” abbiamo rimembrato i vecchi ferri da stiro della nonna.

Al MUMAC – Museo della Macchina per Caffè – di Binasco, Fondazione Piaggio ed appassionati di vintage e due ruote ripercorrono la storia d’Italia – ed anche molto di Milano – con la mostra “Com’eravamo….noi che il design lo usavamo senza saperlo!“.

Inaugurata nel weekend di conclusione della Design Week, il Mumac di Via P.Neruda 2 dà spazio ad un viaggio narrativo attraverso la Vespa e il Caffè, il modo di vivere dell’Italia degli anni ’50 e ’60.

In mezzo a mezzi storici Piaggio come l’Ape (rivisitato in chiave contemporanea anche durante il Fuorisalone con i soliti Apebistrot), la Vespa e il Ciao, Giacomo Gatti, curatore dei filmati e critico cinematografico, e Valerio Cometti, ingegnere e designer, accompagnano il pubblico dentro ad un percorso divertente ed emozionante.

Allora, gli oggetti del boom economico erano strumenti del vivere quotidiano. Oggi sono diventati oggetti da Museo e che fanno la storia del design.

In fondo, chi non ha sognato, almeno una volta, di essere un po’ Audrey per le vie dei Fori Imperiali di “Vacanze Romane”? Chi non ha mai guardato trasognato il Caffé com un momento di convivialità, un profumo di casa un po’ perso nel tempo e dietro alle sempre nuove macchine da espresso?

Com’eravamo….noi che il design lo usavamo senza saperlo: fino all’11 maggio 2014

Ingresso Libero, fino ad esaurimento posti.
Navetta gratuita in partenza da Milano, Piazza Castello 27 c/o Fondazione Castiglioni alle ore 18.00. Rientro a Milano previsto verso le 21.30.

PER PRENOTARE LA NAVETTA, INVIARE MAIL A visite_mumac@gruppocimbali.com indicando nominativo e numero posti da prenotare (posti limitati).
L’esposizione sarà allestita fino a domenica 11 maggio.

mumac.it

A tu per tu con il design di Milano: intervista a Ferruccio Laviani tra Veuve Cliquot e nuovi “banchi”

La scrivania non è quell’oggetto così desueto della casa come si crede. Di scrittoi ne hanno proposti molti durante questa Milano Design Week, di luoghi da cui scrivere, chattare, condividere nuovi progetti di design… non ne parliamo. Questo progetto in particolare ha però un mix di passato e presente insieme, è, come ci spiega l’architetto Ferruccio Laviani, “Un lavoro in stile, che racconta una storia, ma allo stesso è attuale per come è stato reinterpretato”.

Contemporanea è di certo la reintepretazione dela sua Veuve Cliquot Corrispondence Desk, la scrivania che fu di Madame Cliquot e che è tornata a raccontarsi con tanto di damina punk in via Pontaccio 19, nel “bureau de poste” allestito dalla maison di Champagne per il Fuorisalone 2014 – [LEGGI QUI IL PROGETTO] -. Questo incontro ci ha dato lo spunto per scrivere una nuova pagina sulla Design Week a tu per tu con uno dei maestri del Design non solo di Milano ma anche della nostra storia contemporanea.

Da questa scrivania sono partite le prime lettere di M.me Cliquot. Le lettere di un business aperto anche verso l’export, forse non a caso, proprio con un primo passo verso l’Italia. Le ritiene che l’Italia sia ancora un posto in cui far approdare buoni prodotti o da cui far partire oggetti d’eccellenza di creatività e design?
Io credo di sì. In mezzo a tutte le diatribe se Milano sia ancora o meno capitale del design, tuttora i designer internazionali più noti, le “star” alla Philippe Starck per intenderci, sono partiti dall’Italia o hanno cominciato collaborando con aziende italiane. Non dimentichiamoci che designer anche non italiani, per diventare famosi, sono venuti in Italia a fare i loro primi prodotti. Questo perché le aziende italiane hanno loro permesso di avere la visibilità che ancora oggi hanno.

Milano può essere ancora una culla di questo scambio?
Milano, per me, è ancora la capitale del design perché le aziende italiane e l’industria hanno sempre avuto un modo di lavorare – perché vengono dalla tradizione e dalla bottega artigiana ancora rinascimentale – e continuano a contare su tutto un network di piccoli artigiani che aiutano la grande azienda a creare tutte le volte un prodotto molto innovativo e molto versatile.
Inoltre, abbiamo un tipo di distribuzione che ha fatto scuola nel mondo, dal punto di vista del mobile italiano e del gusto italiano.
Infine, c’è un’energia nel fare che gli altri ci hanno invidiato per anni.
Milano è capitale del design perché c’è il design e perché la gente che approda al Salone del Mobile vi trova ancora il punto più importante in cui vedere queste cose. Sarebbe come non riconoscere a Londra il ruolo di capitale mondiale della musica. È vero che talvolta si sposta a Parigi, in Giappone… ma è altrettanto vero che è sempre stata la culla innovativa per quell’ambito.
Ciascuno ha le proprie peculiarità.

Il Salone del Mobile ha ancora ragione di esistere a Milano per come si sta sviluppando? Il Salone tout court è sempre meno considerato rispetto ad un Fuorisalone-star, legato ad un circuito di fuori saloni dove si trova di tutto di più…
Questo non è vero. Il Fuorisalone sta dimostrando, purtroppo, tutte le debolezze che lo fanno. Invece, la fiera ha sempre di più una sinergia tra gli espositori che la rendono sempre più importante e centrale in tutta questa manifestazione. Ecco perché tutti gli anni c’è un incremento del +5% circa di visitatori.
Dall’altra parte il Fuorisalone, che è nato in modo molto positivo, come energia che si trasponeva a quella istituzionale della fiera, è diventata sempre di più un luogo un po’ commerciale e abusato, anche da situazioni ben poco legate a questo ambito. Il risultato? Via Savona, via Tortona che sembravano delle valide alternative sono diventate dei luoghi in cui si vendono panini, birre e porchetta. Secondo me, se non stiamo attenti, la stessa fine l’avrà anche via Ventura e tutti gli altri.
C’è da calibrare bene le cose: uno esiste perché esiste l’altro. Esiste un Fuorisalone perché esiste un Salone…

Ha senso, però, che continuino ad esistere così?
Secondo me il Fuorisalone deve capire dove deve andare. Di energia positiva ce n’è dappertutto. Non sono negativo né per lui né per la fiera. Eppure, le cose possono continuare se ci sono delle idee.
Se “Fuori” diventa solo una possibilità commerciale per qualcuno per fare soldi senza capirne veramente lo spessore culturale, che è ciò che l’ha fatto diventare quello che è oggi, probabilmente perderà sempre più credibilità. E siccome di giovani ne abbiamo qua ma ne abbiamo anche all’interno della Fiera, nel Salone Satellite, certamente poi questa cosa ad un certo traslerà da un’altra parte. Io vedo che c’è una Fiera, indiscutibile, ed un Fuorisalone che è un altro tipo di appuntamento. Tutto funziona perché c’è una sinergia tra i due. Sta a chi la gestisce di gestirla nel modo migliore.

Tre nomi di giovani designer da seguire
Parlare di “giovani” è una cosa che non sopporto. Ho avuto nella vita l’opportunità di lavorare con Achille Castiglioni, l’ultimo progetto che ha fatto l’abbiamo creato a quattro mani, ed era una poltrona per Moroso che si chiamava 40/80 e fino a 83 anni era uno “da legare” per le sue continue idee e proposte. Non credo che sia un problema di età temporale: uno può avere delle idee a 20 anni o non averne, così come avviene per uno a 85 anni. È una questione di idee.
Io credo di più nelle idee che nelle persone. Tanto è vero che non ho mai lavorato su me stesso come immagini fisica ma sul lavoro che faccio. La gente non sa nemmeno che faccio ho, ma conosce molto bene i miei prodotti.
Dipende se uno vuole diventare famoso, allora è un altro mestiere…

I designer stanno diventando come i cuochi: molto cool..
Esatto. Ormai ci sono queste cose. Ma è una questione di qualità di idee. Credo ci siano molte idee da scoprire e da vedere. A volte anche da delle persone che si dà per scontato che non ne abbiano. Questo l’ho imparato facendo l’art director di aziende: nel senso che devi spogliarti dal tuo atteggiamento emotivo-emozionale nei confronti di alcune persone e analizzare in modo professionale quello che è il loro lavoro. Credo che lo stesso si debba fare per scoprire quelli che sono i veri talenti.

Milano è in grado di formarli? È una buona scuola?
Io credo nelle scuole e nella preparazione, ma su Milano ho qualche perplessità se devo essere sincero. Non vuol dire che, perché siamo la capitale del design, allora le scuole siano buone realmente.Trovo imbarazzante trovare da me i ragazzi che abbiano studiato in queste scuole, o la facoltà di architettura, e non abbiano un’infarinatura di base di quella che è la storia del design.
Una scuola che prepara dei designer non è buona se manca una parte propedeutica. Quello è fondamentale. Non dimentichiamoci che Picasso, prima di fare il cubista, era un autore di figurativismo: per quanto una fucina di idee, uno non può venire da me senza essere in grado di prendere la matita e di dimostrarmi, in uno schizzo, quello che intende fare.
Da questo punto di vista io sono abbastanza “Old school” e molto intransigente.

Ultimissima domanda: che cosa ne pensa di questa città che sale, a Milano. Io ho sempre questa immagine. Corso Como, la vecchia Milano, e poi i super grattacieli.
Non sono contrario alla costruzione di grattacieli, ma l’aspetto – se vogliamo – divertente di Milano era il suo carattere molto basso e trovavo che fosse questa una sua caratteristica. Non credo ci fosse la forzata necessità di creare questo tipo di skyline per renderla “moderna”. Che cosa vuol dire moderna, poi? Non mi danno emozioni. Non mi fanno sentire la città.
Con questo non voglio sembrare nostalgico: voglio dire che ciascuna città ha una sua caratteristica. Se questo vuol dire che stiamo andando avanti, lo accetto, ma torno a ribadire: ogni tanto mi chiedo – “Ce n’era bisogno?”. Question mark.

www.veuve-clicquot.com
www.laviani.com