Matteo Ragni si racconta: l’uomo, il designer e il design

Milanoincontemporanea vi propone (con enorme soddisfazione) l’intervista rilasciata da un grande della creatività made in Italy, il designer Matteo Ragni.

Di presentazioni da fare ce ne sono ben poche. Per lui parlano le sue opere di design più famose, come Moscardino, Camparitivo e BocconDivino. Ricordate, ne abbiamo già parlato in occasione di Fuorisalone.

Un autentico maestro: pensate che  alcuni dei suoi oggetti di design si trovano alla collezione permanente del MOMA di NY.

Amore per il suo lavoro, quello del Designer con la “D” maiuscola, intelligenza ed un profondo know-how che condividiamo con voi in questa bella intervista.

Le sue opere sono famose in tutto il mondo e persino inserite nella collezione permanente del MOMA di NY. Da dove nasce “una buona idea di design”?
Un’idea, una buona idea, nasce da una ricerca scientifica. Non parlo di calcoli e matematica: per me è un buon designer colui che sa essere un gran ricercatore, una persona curiosa che desidera approfondire non tanto il discorso delle tecniche e dei materiali – quelli sono comunque importanti -, ma riesce a vivere contemporaneamente tante materie provenienti dal suo mondo. Ad esempio, per me ha senso creativo osservare il carrello del supermercato di una persona, scoprire e riflettere sulle esigenze e i desideri quotidiani. Sono le intuizioni progettuali a diventare progetti, le osservazioni sulla quotidianità a dare origine a un cortocircuito creativo.

Un cortocircuito?
Sì, bisogna essere aperti a farsi contaminare in modo creativo. Alcuni sostengono che il “lampo di genio” venga mentre si fa l’amore o sotto la doccia: sono favole! Il mio cortocircuito creativo avviene mentre gioco con i miei tre bambini, il che significa aprirsi a vari e molti stimoli, ma non legati esclusivamente al design.

Perchè quindi crede che il Boccondivino creato per Food Art, o il Camparitivo della Triennale oppure il Moscardino siano delle buone idee di design?
Credo proprio che siano idee giuste perchè giuste per le idee per cui sono state pensate. Voglio dire: prenda il piatto Boccondivino. E’ un prodotto di tecnologia, pensato per essere industrializzato ed ha preso forma per rappresentare un concetto. Ciò significa che l’estetica del progetto ha seguito uno scopo, una sua funzione. Il ricciolo ad una estremità del piatto, infatti, non è solo un’onda del
gusto che nasce dal tavolo e che culmina nel Boccone Divino, il più buono, quello che ognuno di noi lascia per ultimo, ma è anche un aiuto al cameriere, che così può facilmente portare via il piatto, oltre che un ottimo porta bacchette.

Quindi estetica o stile?
Lo stile è una funzione che esprime un’emozione, non è tanto una questione di forma, ma è funzionalità. Un esempio perfetto è lo spremiagrumi di Starck: è divenuto un oggetto totemico al di là del suo utilizzo.

E tornando alle sue idee di design?
Il Camparitivo, ad esempio, è stato giusto e anticipativo. Si tratta di un oggetto pensato per un aperitivo usa e getta. Mi ero accorto che uno dei problemi dei catering degli aperitivi era che poi alcuni ospiti non restituivano le forchette. Con questa soluzione in plastica, invece, il prodotto poteva benissimo essere consumato e poi tranquilmente sottratto perchè ben si prestava ad essere un
souvenir della serata. E poi, il gioco di specchi fra la natura e le persone … insomma, voleva essere un oggetto utile e divertente.

Esiste un design made in italy, secondo lei? E se sì, in che cosa si distingue?
Nel rapporto con le aziende. E’ difficile trovare una concentrazione così forte di aziende e designer, parlo soprattutto nella mia zona, fra Milano e la Brianza. Il design si fa in due, come l’amore, in questo aveva ragione Magistretti, anche se “putroppo” oggi c’è un terzo amante, che è il marketing. Il vero design “a due” è un progetto e un prodotto che nasce da due persone, è un modo di mettersi in discussione, ed è per questo che un designer deve lasciarsi contaminare in modo onesto, operai. Non si impara dal semplice andare a scuola, ma fare il designer è essere un po’ alchimisti, come in cucina: in tanti possono prendere un libro di ricette e provare a ricreare un piatto, ma solo in pochi ne sanno trarre qualcosa di buono e unico. Così il design: si fa dall’incontro delle persone, è una materia umanistica, e non a caso i più grandi architetti e creativi hanno avuto una formazione umanistica.
Quindi, non solo numeri e scienza, ma soprattutto un unione da cui nasce, umanisticamente, un progetto.

Molti giovani, oggi, sognano di fare i designer: un consiglio?
Intanto cominciare con lo spegnere la TV e smetterla con Grande Fratello e Maria De Filippi. Non credere di diventare designer “per essere famosi”. Chi vuole fare questo mestiere deve pensare ad una professione dura, con la quale cambiare il mondo, in meglio. Purtroppo le nostre facce compaiono più o meno spesso sulle riviste, anche se io sono refrattario a farmi ritrarre: preferisco che a parlare per me siano i miei prodotti. Sai, il “bel mondo del design” è ormai pericolosamente vicino al mondo del fashion, del “mi vesto bizzarro o addirittura mi presento nudo”: ormai è come se l’immagine prevaricasse la qualità del progetto.

E un avvertimento?
Di avere la presunzione di cambiare il mondo senza pensare a premi e riconoscimenti. Quando io ho vinto il Compasso d’Oro avevo solo 29 anni e sono stato fra i più giovani a ricevere un premio così importante. Posso dire però di essere ancora quel ragazzo di allora che ha bisogno sempre di migliorarsi e senza alcuna presunzione: ma questa è una questione di educazione che deriva dai
propri genitori…

Come si entra ad essere collaboratori di Matteo Ragni?
Non è difficilissimo. Ho sempre sott’occhio un portfolio e una serie di prodotti ma quello che conta per me sono i rapporti umani. Ovvero, se umanamente sono compatibile con la persona che ho di fronte. Non richiedo mai di cosiddetti “smanettoni” o di super esperti di software: con la pratica di oggi un ragazzo riesce sempre a districarsi nella tecnologia. Mi piacciono le teste pensanti. Io vivo di incontri di persone, sono questi che mi arricchiscono, le loro idee e i loro stili di vita. In tutte le scuole in cui insegno, come la Domus e il Politecnico, amo talmente lo scambio di idee con i ragazzi che penso quasi di essere nella situazione per cui “mi paghino per imparare”.

Qual è il premio o il successo più bello?
Vedere in giro una persona che usa un mio prodotto. Certo, sapere che il mio Moscardino è al MOMA di New York è come dire “tu sei lì”: fa un gran bell’effetto. Ma amo soprattutto immaginare
di vedere un bambino che usa lo stesso Moscardino nel bel mezzo di un pic nic, in un parco.

E l’idea da realizzare?
Una casa prefabbricata per le vacanze che costi meno di 1000 euro: voglio una casa democratica, “un tetto per tutti”.

Paola Perfetti – MilanoincontemporaneaP

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