Da Warhola a Warhol: il genio del Pop è tornato a Milano (guida alla mostra di Palazzo Reale)

L’ennesima mostra di e su “Andy Warhol“: perché andarci? Innanzitutto perché Andy Warhol da grande avrebbe voluto fare il ballerino di tip-tap – ma gli riusciva meglio illustrare, dissacrare le icone e regalare l’eternità ad una serie di capolavori ed esperimenti che pensava sarebbero stati effimeri e momentanei. E per fortuna si sbagliava.

Poi perché è Autunno, e in quello Americano celebrato da Milano, dopo aver fatto un salto da Pollock e alla sua Scuola Americana, non si può proprio mancare al muto dialogo della sua voce contrapposta.

Perché in questo finire di ottobre, un po’ di zucca ed una fetta di American Pie ci stanno proprio bene (California Bakery docet) e legano, una volta di più e a dispetto di Halloween, la New York degli anni Cinquanta che tanto sta andando di moda a Milano con la Milano sempre più contemporanea.

Insomma, Warhol in questa mostra c’è tutto e calza a pennello con la Milano fashionista, artistica quanto basta per darsi un tono – anche se di appassionati ed intenditori, nel sottobosco della nostra metropoli, ancora qualcuno ce n’è.

Si parte dal Warhola illustratore  (Andrew all’anagrafe si chiamava proprio così). Si parte dagli esordi con le illustrazioni per le campagne pubblicitarie, le vetrine, la morte di James Dean ed il ritratto della signora dagli occhi viola. Liz.

Il Warhol di mezzo con le scarpette colorate è un tributo al buon gusto e all’eccentricità di quegli anni Cinquanta.

Si passa al Warhol che guarda con soddisfazione alle icone del contemporaneo,  dove i “very famous” sono la zuppa Campbell’s e i bidoni di Brillo che hanno ben più di 5 minuti di popolarità e che, solo per questo, sono popolari quanto la Monnalisa, la Marilyn “sparata” da una delle sue modelle e modelline nella Factory. Altro che “Grande Fratello”…

 

 

 

In un percorso diacronico che abbraccia 30 anni di produzione ed oltre 160 opere della Brant Foundation, il curatore Francesco Bonomi ha riassunto e raccontato l’intera produzione di Andy Warhol come se ci trovassimo a casa dell’imprenditore-mecenate-amico di Andy, Peter Brant, ed il susseguirsi delle fasi e delle sperimentazioni dell’artista, arrivato per ultimo ma comunque padre della Pop Art.

 

Così contemporaneo da essere in trend anche con la sua serie dei Camouflage degli anni ’80.

Così milanese da aver esposto, per l’ultima volta prima della sua morte stupidissima, per un’anestesia sbagliata durante un intervento chirurgico di routine, un‘Ultima Cena con Gesù e Apostoli in infradito, dissacrante ma comunque ossequiosa nei confronti del genio di Leonardo Da Vinci, proprio in quel Palazzo delle Stelline così vicine al Cenacolo vinciano (era il 1987).

C’è il tema della morte e dell’eterntà della vita. L’uomo che morì due volte è raccontato nella serie delle Electric Chairs (1964) e dei fiori, delle Marilyn e dei Mao, importanti nei loro giochi di cromie e rossetti solo per la popolarità del soggetto. Le Oxidations con l’urina, le Ladies and Gentlemen dissacranti, allestite vicine alle toilette – non a caso. E poi i Dollar Bills, i Basquiat, gli autoritratti in cima alla porta nell’infilata di stanze che riprende l’allestimento di “casa Brant” e che celebra il genio del Warhol amico e divertito padrino di Basquiat….

 

 

… fotografo dei grandi nomi dell’arte, dello spettacolo, della cultura degli anni ’50-’60-’70, da Valentino a Diana Ross più sbiancata di Michael Jackson, Mick Jagger, Arnold Schwarzenegger, Silvester Stallone e Warhol stesso, in versione en travestì. C’è anche un giovanissimo Peter Brant, c’è pure suo padre, Murray Brant, che Mr Brant si ferma a fotografare in un pausa dalle lunghe interviste rivoltegli nel corso dell’inaugurazione perché…. perchè è semplicemente il suo papà.

Negli anni ’60-’70 Brant era vicino a Warhol. Lui, figlio di un imprenditore della carta del Connecticut, comincia a investire nell’acquisto di opere d’arte contemporanee con la disapprovazione del papà, patito di Rococò. Il grande mercante e collezionista Leo Castelli lo introduce ai “degenerati” contemporanei americani. Acquista le prime opere – in mostra -; diventa l’editore di Interview, il magazine fondato da Warhol nel 1969. Si reca direttamente nello studio e poi alla Factory dell’artista per comprare le opere. Nella sua casa e poi Foundation quegli anni si respirano e sono ancora vibranti.

A Milano restituiscono quel sapore al piano nobile di Palazzo Reale. Lo faranno fino al 9 marzo 2014. Pronti a scoprirla? Allora accendete la radio su Heroin dei Velvet Underground, e partite.

Sono nata al Fatebenefratelli, zona Brera, una delle zone più bohemienne di Milano, che non poteva che portarmi alla laurea in Storia dell'Arte. Nel 2009 ho fondato Milanoincontemporanea per non metterla da parte.
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Riguardo a Paola Perfetti

Sono nata al Fatebenefratelli, zona Brera, una delle zone più bohemienne di Milano, che non poteva che portarmi alla laurea in Storia dell'Arte. Nel 2009 ho fondato Milanoincontemporanea per non metterla da parte.