Dall’ex Paolo Pini al teatro con il progetto Olinda e “Da vicino nessuno è normale”. Milanoin va a teatro con “Gola” di Socìetas Raffaello Sanzio

Da vicino nessuno è normale

Milano è la città della velocità, del ritmo, dell’anticipazione. Una città mutaforma, dove la stessa via, percorsa in giorni differenti, cambia colore, abitanti, perde insegne, ne conquista di nuove. Tutto senza sosta, rapido.

Poi vai in un quartiere chiamato Comasina e scopri che c’è chi vuole una Milano “città lumaca”. È l’associazione Olinda, che da vent’anni occupa il parco del Paolo Pini, ex ospedale psichiatrico di Milano. Da vent’anni Olinda cresce, lentamente, dando a un parco che portava con sé un respiro e un’energia carichi di dolore e sofferenza, una vita nuova.

Da vicino nessuno è normale

Da vicino nessuno è normale

Ora, all’ingresso, ti accoglie un’insegna colorata e invitante, con la scritta Da vicino nessuno è normale, l’efficace slogan che Olinda ha scelto per il progetto di recupero di quest’area. Quando entri ti trovi davanti a un parco meraviglioso, dove puoi trovare un accogliente Ostello, adatto a tutte le tasche, un ristorante sotto il pergolato, un teatro, il Teatro Cucina, realizzato all’interno di quello che fu il refettorio dell’ospedale psichiatrico, quasi a sottolineare quanto la cultura possa “nutrire” i cittadini.

Attenzione anche a un’altra grande collaborazione che Olinda ha intrapreso: il progetto “Non-scuola”, che ha origine in Romagna per volontà di Teatro Delle Albe di Marco Martinelli. Si tratta di un progetto di teatro con adolescenti, dove le guide (attenzione: non “insegnanti”, ma “guide”) giocano al teatro con gruppi numerosi di adolescenti. Attorno e all’interno di testi antichi, coniugando la biblioteca all’immaginario degli adolescenti, alla ricerca di quel punto di contatto che rende il teatro catartico ed educativo, gioco ma anche occasione di crescita, espressione, elaborazione di sé e dei conflitti. Il risultato è tanto stupefacente che quest’anno il Castello Sforzesco, dal 21 al 25 luglio, ospiterà “Eresia della Felicità”, dove un coro di duecento adolescenti lavorerà in un laboratorio-performance a cielo aperto sui versi del poeta Vladimir Majakovskij.

Ma Olinda non si è fermata qui. Da anni organizza una rassegna di cinema, musica e teatro, che porta a Milano i più grandi nomi della ricerca internazionale: Da vicino nessuno è normale, per l’appunto. Alfonso Santagata, Claudio Morganti, Raffaello Sanzio, Teatro Delle Albe sono solo alcuni dei nomi che transitano da questo luogo, creando spesso performance site-specific.

Anni fa è rimasta scolpita nella memoria proprio una performance itinerante su Orestea di Eschilo, ad opera della compagnia Katzenmacher di Alfonso Santagata. Un meraviglioso affresco sanguinario, non privo di ironia, pur nella sua atrocità, dove Santagata riuscì, da meraviglioso “poeta leggero” quale è, a coniugare l’energia macabra del luogo (gli edifici e i passaggi dell’ex manicomio) con quella dell’epopea tragica, con la propria, scanzonata visione della vita, della realtà, della morte. Santagata sarà ancora presente al festival il 17 e 18 luglio con Esterniscespiriani. Nel nutrito cartellone, oltre alle compagnie già citate, possiamo trovare anche Claudio Morganti, Fattore K, Elena Bucci e Marco Sgrosso, Fanny & Alexander.

Da vicino nessuno è normale

Insomma, il gotha del teatro di ricerca sceglie Olinda. Sceglie Da vicino nessuno è normale, per lanciare le proprie proposte in direzione di una città, Milano, sempre pronta ad accogliere il nuovo, l’avanguardia, il cambiamento. Dalla Comasina, quartiere periferico, solo apparentemente lontano dal centro, una bella energia di condivisione e partecipazione pulsa e ci accompagna in questo inzio d’estate.

Proprio in questi giorni è andato in scena Gola di Socìetas Raffaello Sanzio. Tanta era l’aspettativa, proprio perché ci troviamo di fronte a una delle più importanti compagnie di teatro contemporaneo, una compagnia che da almeno vent’anni, al pari della spagnola Fura Dels Baus, rivoluziona e sconvolge il teatro, lasciando sempre un segno nello spettatore. Questa non è decisamente una di quelle occasioni. Gola è il risultato di un laboratorio con cinquanta attori di tutte le età, attorno a tre momenti, che citiamo letteralmente da programma:
La doula è la serva che ascolta.
Questo il primo movimento.
La cavallina di Čechov, l’unica capace di accogliere le confidenze del vecchio vetturino Jona Potàpov, a una settimana dalla morte del figlio, è il secondo movimento.
A lei, nella stalla, il padre riesce a cantare la propria tristezza.
Ewa è il terzo movimento.
In Bosnia è in corso un processo di riconoscimento. Quasi trentamila persone sono scomparse durante la guerra negli anni ’90 e non tutti i corpi sono stati trovati nelle fosse comuni.
È stato necessario scendere, sollevare, ricomporre , riconoscere, nominare per restituire i morti alle famiglie. E seppellirli.
Questo il lavoro di Ewa, per molti anni

Ebbene, nel guardare la performance la domanda è: dove si trovano queste tematiche?
Ci troviamo di fronte a un lavoro corale perfetto e ben confezionato, dove gli attori si muovono in un respiro comune e i loro corpi, voci e creazioni fanno parte di un affresco visivo affascinante. Durante l’ora di performance, ininterrottamente, una voce fuori campo parla in un inglese dalla pronuncia non anglofona, e quindi molto difficilmente comprensibile anche per chi padroneggia la lingua, in tono monocorde (volutamente).
Il risultato è un gigantesco punto di domanda, dove il pubblico resta estraneo alle tematiche, scaraventato lontano dall’intellettualistica creazione. Una performance dove il pubblico si trova quasi costretto ad applaudire per riverenza, quasi a dover dimostrare di essere intelligente, di aver capito.
Raffaello Sanzio ci aveva abituati a grandi pugni nello stomaco. A performance molto discutibili anche a livello morale, ma mai prive di un violento contatto, di una connessione profonda con l’inconscio dello spettatore.

Non siamo davanti a una di queste cose. Peccato.

Sono nata 41 anni fa a Milano e ne sono fuggita vent'anni dopo, inseguendo in lungo e in largo le traiettorie del mio lavoro, il teatro. Dopo anni di vagabondaggio ho scoperto che la Darsena è il porto più accogliente nel quale approdare e da dieci anni vivo, lavoro, recito, creo e divago qui, nel crocevia di fiumi di Milano che, come una gran signora, si presenta piano piano. Ti conquista con il fascino, ti entra nel sangue e non ne puoi più fare a meno.
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