Dal nonno, banchiere proprietario di Palazzo Marino alla nipote Marianna, la Monaca di Monza, Geltrude manzoniana – di GIOVANNA FERRANTE
In Milano si ricama leggiadrissimamente in questo inizio del XVI secolo.
Come per gli oggetti di cristallo o le armi, anche i ricami non si apprezzano se non sono realizzati a Milano. E se di squisita fattura è il Gonfalone di Sant’Ambrogio opera di Scipione Delfinoni, gran fama di ricamatrici hanno anche Margherita Barga, Veronica Scala, Caterina Cantoni.
Grande ricchezza il gelso che permette di nutrire i bachi, indi filare la seta; il primato della lavorazione della seta da Milano orgogliosamente strappato a Venezia, Firenze, Lucca, Genova.
Cent’anni dopo una cupa vicenda è diventata storia dai contorni di leggenda criminale.
Tre giovani ricamatrici, eredi della sapienza di Margherita, Veronica, Caterina, sono al lavoro chine su un ricamo in una casa presso il Lambro, verdeggiante parte di Milano contornata da lunghe file di gelsi, inconfondibile paesaggio le chiome piene che si stagliano contro il cielo aperto.
Sembra un dipinto l’immenso ricamo, si intrecciano i fili di seta a raccontare le intricate vicende di uomini e donne, ricchi banchieri, figlie rimaste vedove, nobili spagnole, inquieti eredi di dinastie, monache per forza monacate.
Fra le giovani agili dita, movimenti di aghi e fili per un ricamo che rimarrà memorabile.
“Eccolo Tommaso Marino, ricamiamo in filo d’argento il suo abito su cui far brillare le sue decorazioni. Duca, Senatore del Governo spagnolo e aggiungiamo anche fili colorati a comporre qualche monile, segno di ricchezza del suo essere opulento banchiere.”
“Accanto a lui ricamiamo le immagini dei suoi due figli maschi; pieghiamo la dolcezza della seta affinché dalla stoffa emergano visi truci d’assassini. Nella loro vita il vino, il gioco, le donne, la rabbia, il denaro, l’orgoglio, la furia, entrambi colpevoli d’omicidio.”
“Un altro ricamo a raccontare la vita della figlia di Tommaso, Virginia.
Vedova, ricamiamola come nel giorno delle sue seconde nozze con Don Martino de Leyva. L’abito della sposa suntuoso, ampio, fili dorati ad imitare la collana d’oro a guisa di cintura con un bel pendaglio. La sua morte prematura porterà Martino a sposare una nobile spagnola, matrimonio che prevede, per essere celebrato, cospicuo patrimonio da parte delle sposo.
E allora eccolo servirsi, senza rimorso alcuno per la sottrazione che è furto, della dote lasciata in eredità dalla madre alla figlia ancora bambina.”
“Siamo arrivate al ricamo più importante. A lei. Non più bambina, giovane donna. Lei al centro del ricamo, la Monaca sciagurata, figlia di Virginia e Martino, nipote di Tommaso Marino.
Lei, Marianna de Leyva, la Monaca di Monza, che da Giò Paolo Osio imparerà a forgiare la catena che tiene congiunti per l’eternità amore ardente di passione e morte con perenne dannazione.”
Foto coverFrancobollidiricami – Joseph Solomon 1860- 1927, “Le ricamatrici”
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