Jazz e cappuccino la domenica al Teatro Manzoni: Aperitivo in Concerto provato per voi

Intro Manzoni - concerto Shorter 2007 | courtesy ufficio stampa

Aperitivo in Concerto è una bellissima tradizione che fa onore a Milano da 32 anni, di cui gli ultimi 20 dedicati alla musica jazz e di frontiera. Ci siamo stati anche noi!

La rassegna Aperitivo in Concerto – ritmi del nostro tempo, presso il Teatro Manzoni fa onore a Milano per la statura degli artisti che ogni anno riesce a portare al Manzoni (la lista dei musicisti che sono passati di qui è impressionante!), per lo spazio che offre ad avanguardie e progetti unici (a fatica, in Italia, trovano sbocchi al di fuori dei festival internazionali), e perché riesce ad offrire tutto questo ad un pubblico ampio, grazie ad una politica di prezzi (€15 a concerto) che sono stati caparbiamente mantenuti a livelli popolari.

L’inconsueto orario di inizio dei concerti, le 11.00 AM, è a mio parere un ulteriore plus: a mente fresca e con i neuroni del sistema uditivo ancora riposati, si è meglio disposti che alla sera a recepire i dettagli di un messaggio sonoro.

Il costo del biglietto non costituisce dunque uno sbarramento, ma i posti sono limitati e l’unicità di ogni evento fa registrare quasi sempre il tutto esaurito.

foyer manzoni aperitivo in concerto

E così, nelle domeniche mattina invernali, il grande atrio del teatro Manzoni, con la sua fascinosa architettura neoclassica del 1950, si riempie di un popolo meravigliosamente variegato e per nulla allineato agli stereotipi della “Milano da bere” (che pure ha un suo fascino, ma qui risulterebbe fuori contesto): ragazzi di tutte le età, dai 14 ai 90; genitori e figli; iniziati e neofiti; sconosciuti che si incontrano e dialogano, scambiandosi opinioni ed esperienze, prima e dopo il concerto. Sono quelle circostanze in cui ti senti parte di qualcosa, e questo sentimento è essenziale in una città che ambisca a mantenere una vivacità culturale degna di una (piccola) metropoli.

(http://www.aperitivoinconcerto.com/la-rassegna)

Roscoe Mitchell Sextet plays Coltrane, Domenica 29/01, ore 11.00 AM


Deve essere normale sentirsi inadeguati – come mi sto sentendo io, amatore con una modesta preparazione storico/tecnica – a parlare di un mostro sacro come Roscoe Mitchell. E allora per superare l’imbarazzo, salto le presentazioni, rimandandovi a letture specializzate per una (doverosa) panoramica sull’uomo e il musicista, e mi limito a raccontarvi la mia esperienza da semplice spettatore di questo sestetto alle prese con brani dal repertorio di John Coltrane. Repertorio già di per sé impegnativo, affrontato in modo non convenzionale da una formazione atipica (sax, 2 contrabbassi, violoncello, violino, batteria) ma neppure troppo considerando i trascorsi di Mitchell.

L’uso intensivo di strumenti inconsueti in territorio jazz, dai suoi primi lavori solisti (il seminale “Sound” del 1966) a tutta la carriera con gli Art Ensemble of Chicago e oltre, la dice lunga sull’approccio fuori dagli schemi di Mitchell; il quale anche in questa occasione – a 76 anni di età e a più di 50 dalla sua prima uscita discografica – non si smentisce, e con l’umiltà tipica dei grandi ci mostra cosa significa essere un musicista giovane (cosa ben diversa da fare il musicista giovane).

Roscoe Mitchell Sextet

Questo sestetto riesce a coniugare improvvisazione e impressionismo, offrendo un’interpretazione di Coltrane attualizzata, personalissima, a tratti estrema, priva di qualsiasi piacioneria, trasfigurando i brani originali a limite della riconoscibilità. Acquarelli seguiti da vigorosi crescendo, reminiscenti quasi più di certi supergruppi del periodo fine 60 – inizio 70 (Jazz Composer’s Orchestra e Centipede, per citarne un paio) che degli AEC. Una delle improvvisazioni di gruppo è stata eseguita quasi interamente dagli archi, impazziti, con Mitchell seduto immobile al centro del palco quasi a dire “andate avanti voi ragazzi, la vostra irruenza mi rigenera” (no, non lo ha detto veramente, me lo sono immaginato).

Credo che Coltrane avrebbe gioito di queste riletture, perché la trasformazione tiene vivo il jazz, l’ortodossia lo uccide riducendolo a musica da salotto. E credo che usare l’etichetta ‘free’ non sminuisca in alcun modo l’ampiezza degli orizzonti artistici di Roscoe Mitchell, visto che lui stesso ha contribuito in grande parte alla definizione di questa ‘categoria’ musicale.

Seduti vicino a me, al concerto, un papà con figlia adolescente. La ragazza non aveva l’aria di essere stata trascinata a forza. Anzi, probabilmente ascoltava il tutto con meno pregiudizi del sottoscritto. Per una mente non ancora imbrigliata in schemi musicali precotti, non penso ci sia nulla di impenetrabile o intellettuale in questo approccio musicale, soprattutto quando è la sintesi di una vita passata “a costruire un vocabolario per fare queste cose” (citando lo stesso Mitchell).

Non vedo l’ora che mia figlia sia un po’ più grande per offrirle un Aperitivo in Concerto. O forse lo offrirà lei a me, chissà.

(http://www.aperitivoinconcerto.com/evento/2017-01-29/roscoe-mitchell-sextet)

Paolo Venturini

Che vita sarebbe senza musica e... Milano. Da Milano mi ero allontanato alcuni anni, pentendomene perché mi mancava da morire, e adesso che sono tornato voglio recuperare il tempo perduto. La musica, almeno quella, me la sono portata sempre dietro. Fra le due c'è però una connessione profonda, creata dai luoghi e dalle persone, che amplifica il piacere di entrambe.
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