Andrea Belfi live nella corte centrale delle Stelline di Milano – la recensione

Da un po’ sentivo parlare di questo Andrea Belfi e aspettavo di sentirlo dal vivo. L’occasione si è presentata con l’evento “Les Siestes Electroniques” presso l’Institut Francais di Milano (corso Magenta 63).

Sabato pomeriggio, ingresso gratuito, chiostro all’interno del Palazzo delle Stelline, pratonzolo verde smeraldo, possibilità di svacco grazie a cuscinoni forniti con la consumazione, atmosfera relax e super-informale.

Andrea Belfi è l’artista che apre la rassegna, e subito mi dico: ho fatto bene a venire. In estrema sintesi: da non credere quello che riesce a creare, da solo, con una batteria e due cazzilli elettronici.

Si, perché Andrea Belfi, se proprio vogliamo dargli un’etichetta, fa musica elettro-acustica e – lo dico? No non lo dico. Vabbè ok lo dico – sperimentaaaahhhle , anzi peggio di avanguaRRRdia. Paura, brivido, raccapriccio, roba difficile, noiosa, minacciosa. Via via, presto, scappare, ché qui si rischia di rimanere destabilizzati, c’è persino il rischio che poi ci piaccia, ma per fortuna giovedì c’è Icsfactor…

Ci avete creduto? Macché. Anzi, mi guardo attorno e, qui sul pratonzolo del chiostro, vedo persone incantate e ipnotizzate, trascinate dal Belfi in un mondo fatto di soundscapes tridimensionali, in parte pianificati e in parte improvvisati, che si trasformano continuamente in un fluire senza interruzioni (di fatto l’intero concerto è come fosse un unico lungo brano).

E ha il potenziale di piacere a molti, molti di più di quelli che probabilmente Mr Belfi riesce a raggiungere muovendosi solo in ambienti “underground”, e con un’esposizione mediatica in Italia neppure paragonabile a quella di certi mediocri rapper nostrani (sembra avere più spazi all’estero, tanto per cambiare).

Ci sono, certo, i riferimenti a cose del passato, ma non sono così espliciti né banali; sono ben… metabolizzati. C’è tanta originalità e tanto buon gusto nel combinare elementi che, messi insieme da mani meno esperte, avrebbero potuto facilmente produrre un risultato algido o peggio ancora da “background music”.

E così adesso, dopo averlo visto dal vivo, sto ascoltando il suo ultimo ciddì (“Ore”), acquistato direttamente dall’autore. E, giuro, non riesco a staccarmene.