Giulia Donelli: ma è proprio vero che "Non è come sembra?"

Qualche tempo fa ho avuto il piacere di segnalarvi “Non è come sembra“, monologo tragicomico al femminile della giovane scrittrice Giulia Donelli e interpretato dalla bravissima Cristina Castigliola.

Location perfetta, un piccolo loft nel cuore della Milano di Porta Venezia, qualche sedia e vecchio comò, luci basse, ed ecco che, tutta sola, Cristina Castigliola dà voce alle ansie e alla storia di una donna senza nome ma che potrebbe essere una donna come tante.

In verità, sono molte le sue manìe e altrettante quelle che ogni signorina non tarda a riconoscere a se stessa.

Frasi come

“non mi piacciono i cambiamenti, amo il punto fisso” e l’analogia di sè come un papavero – “non prezioso nè bello, ma fermo in un campo di grano mentre  tutto cambia” –

rendono l’incontro con l’autrice Giulia un momento interessante e stimolante.

Un’occasione per interagire con una fucina di creatività capace di creare un dramma pieno di spunti, di parole tragiche e di intelligente interazione con il pubblico.

Il monologo della piéce è davvero piacevole, peccato per i pochi posti – anche se in pochi si è riusciti meglio a non disperdere il valore delle parole.

Parole e gesti che portano a riflessioni molto “pirandelliane”, per svelare le quali ho chiesto auto direttamente all’autrice.

Perchè la scelta di dedicarti ai testi: in molti preferiscono le luci della ribalta.
Ho provato le luci della ribalta, ma la scelta va da sé nella direzione di quello che più ti piace fare: nel mio caso è lo scrivere. E’ stata la mia più grande passione dai tempi delle scuole elementari, quando ho iniziato a partecipare a concorsi di poesia. Poi a quella passione si è aggiunta l’altra: il teatro.
A quattordici anni ho scelto perché ho capito che il teatro sarebbe stato la mia strada; da quel momento non ho mai smesso.

Cioè?
Non ho scelto da subito di scrivere per il teatro, ho vissuto e continuo a vivere tutti i ruoli professionali che il teatro offre, dalla recitazione, alla regia, alla fonica, all’insegnamento, all’organizzazione, etc. La ricchezza di uno spettacolo (o di un’opera d’arte, insomma) è che qualunque compito tu abbia, la stessa barca è remata da tutti verso lo stesso porto, insieme, per cui non vivo il ruolo che ricopro in quel momento come uno chiuso tra scompartimenti stagni. Se posso scegliere scelgo la scrittura, certo, ho studiato drammaturgia. Ma ritengo il mio lavoro ancora più ricco se si tratta di “scrittura scenica”, cioè se il testo nasce sul palco insieme agli attori e alla regia, in un percorso di improvvisazione, studio e scelte comuni.

Il personaggio di “Non è come sembra” è un’anonima donna senza nome, luogo, nè età, ma possiamo identificarla con una signora di mezza età che possiede una piccola casa isolata e una cartoleria altrettanto solitaria. Com’è nato questo personaggio e perchè?
L’estate scorsa ho vissuto tre mesi in Irlanda come ragazza alla pari. Facevo la baby-sitter per una famiglia. L’Irlanda è tanto bella quanto “frustrante per noi gente del Mediterraneo”: io vivevo nel rigoglioso e solitario countryside in una casa isolata e senza possibilità di avvicinamento alla città o almeno al paese. Mi alzavo il mattino e mi addormentavo la sera sempre sotto lo stesso cielo grigio, le stesse vallate verdi, le stesse pecore e mucche. Non avevo nemmeno internet. Così riempivo il mio tempo libero con la scrittura e in quel contesto mi sono subito immedesimata in un personaggio che vivesse sempre una condizione come quella: “sarei stata una psicopatica”, mi sono detta. E poi ho preso spunto dalla realtà della famiglia in cui vivevo: la mamma dei bambini che gestivo io aveva un negozio di souvenirs in paese, aveva scelto quell’isolamento geografico perché amava quella zona, lei è di origine inglese per cui il thè e le tisane in casa non mancavano mai… Insomma ho trasformato lo stato delle cose nella vita di un personaggio, tanto grottesco quanto realistico e semplice. E mi sono divertita ad inventarne i dettagli.

Un modo per ridere delle manie delle donne con autorironia, o una riflessione sulla solitudine di oggi?
Sicuramente un modo per ridere di noi donne che spesso e volentieri se ci guardassimo vivere da fuori o ci ascoltassimo anche solo per un momento, non capiremmmo nemmeno noi stesse cosa facciamo o diciamo e perché e smetteremmo di criticare gli uomini per questo. Tutto ciò è giocato sul paradosso, ovviamente: noi ci giudichiamo il meno possibile e nel non farlo, ecco fin dove possono arrivare le nostre folli manie il nostro voler avere ragione.

Perchè un’autrice di oggi fà di dire al suo personaggio: “Io sono come mi conosci. Io sono come mi conosco. Senza grilli per la testa”?
Fa sempre parte di quel paradosso. In ogni personaggio che si crea, c’è qualcosa di sé che si racconta: beh, non si tratta di questo, io sono volubile e lunatica più che mai nella mia vita, piena di grilli per la testa. E per fortuna. Ma lei no, lei è un personaggio chiuso nelle sue convinzioni e più lei è ottusa e convinta, più noi le crediamo e ne giustifichiamo le parole e le azioni folli che arriva a compiere, dandole ragione. Di qui l’ironia tragica.

Dove e quando potremo ancora incontrare i tuoi testi?
Abbiamo appena presentato uno studio allo Spazio Off di Trento sul testo “Soli d’Est” scritto a quattro mani con Luca Stano. In questo caso noi stessi autori eravamo in scena nei panni dei nostri personaggi, due immigrati venuti dall’Est in Italia per lavorare e per vivere solo del loro lavoro. Poi a febbraio sarò a Civitavecchia con “L’altoparlante“, un testo con il quale ho vinto un premio di drammaturgia.

Autoironia, semplicità e talento. Ottimo lavoro Giulia!

PaolaP.