La casa del beSpoke apre a Milano

A Milano, in pieno quartiere di Brera, c’è la più antica ghiacciaia di Milano. Si trova all’interno di una casa che per anni è stata l’atelier dello scultore Luciano Minguzzi. Questa casa, a sua volta, è uno spazio di 4 piani luminosissimi che dal basement alla veranda con lucernario incluso sono fatti e finiti per raccontare la storia e le cose belle, dal loro pensiero alla loro messa in opera, dalla manifattura e, impuntura dopo impuntura, taglio, filato e rifinitura, fino all’oggetto d’arte finito.

Sarà il genius loci o piuttosto la sana voglia di far vivere Milano di un’esperienza d’eccellenza, ma per i pochi che lo sapessero per o quelli che volessero saperne di più giusto per averne “sentito dire”, dal 9 all’11 maggio 2014 in via Palermo 11 (davanti alla buona vecchia Pelota) inaugura la prima edizione di beHouse.

beHouse è, lo dice il nome, una casa “bespoke”, cioè tutta all’insegna del “su misura”.

Su misura l’accoglienza nel basement dove ci sarà spazio ad assaggio, lezioni di degustazione, momenti di tè, macaron, cioccolato, caviale…

Su misura, al pianterreno, la lounge Maserati ed il salotto Flamant (noto marchio di abbigliamento belga), profumati dalle installazioni fiorite di Vincenzo Dascanio (vecchio amico di “Milanoin”).

Su misura – e qui viene il bello – il piano ammezzato dove sarti, orologiai, orafi, cappellai, camiciai… – mostreranno dal vivo la filosofia, la nascita e la creazione dei loro prodotti.

Antica Barbieria Colla, un must per i gentleman di Milano, farà la barba a chi vorrà conoscere l’antica arte della rasatura. Turms si metterà a disposizione per evidenziare il lavoro dello “sciuscià”. Hendrick’s servirà gin tonic in un ambiente retrò (l’allestimento è co-firmato con Bernardini). E poi i manichini d’autore di Bonaveri. Lo champagne di Veuve Cliquot. Persino Mo Coppoletta da Londra si metterà in gioco per raccontare la storia della sua arte del tatoo.

Ma non sono che alcuni nomi di alcuni degli appuntamenti in un programma che è ricco, ed è ben evidenziato qui:

Calendario beHouse

E non è tutto.

Oltre a toccare con mano capi iconici, allestiti qua e là nei quattro piani di beHouse, gli stessi potranno anche essere acquistati attraverso un semplice “touch” grazie al sito di e-commerce e la piattaforma di vendita “BeLong2Me” in lancio in occasione di beHouse.

I PROTAGONISTI di beHouse:

•  Maserati.

•  Flamant, Veuve Cliquot, Hendrick’s, Modulnova.

•  19 Andrea’s 47, Aldo Bruè, Antica Barbieria Colla, Associazione Italiana Maggiordomi, Aquariva by Riva, Baglioni Hotels, Bagnoli Riccardo, Bernardini, Bonaveri, Bowers & Wilkins, Caffè Vergnano, Calvisius Caviar, Caroline Groves, Cartujano, Catarzi 1910, Corum, Cuervo y Sobrinos, Dammann Frères, Domori, Donnafugata Golf Resort & Spa, Dr. Vranjes Firenze, Ducal, Fabio Borriello, FABS Carte by Ars Color, FIRST The Real Estate, Jacente, Ladurée, Luchino Camicie, Mo Coppoletta, OneOff Emotional Hardware, Opere Sonore, Prata & Mastrale, Romeo Ferraris, Sartoria Cicli, Savini Milano, Sciamàt, Serafino Consoli, Siniscalchi, Stefano Bemer, The Bridge, Turms, U-Boat, Velier, Villa Paradiso, Vincenzo Dascanio, XTO Lead Innovation, Zanotta, Zilli.

•  Special Guests: Cifonelli, Hackett London, Pierre Corthay.

BEHOUSE

Da venerdì 9 domenica 11 Maggio 2014 – Palazzo Museo Minguzzi, via Palermo 11, Milano
Aperto tutti i giorni dalle 11.30 alle 22.00
#beHouse

Noi ovviamente ci saremo. Un evento di tradizione e storia, contemporaneità, Milano e mondo in cui sono previsti ospiti straordinari. Milano è straordinaria e su misura. Questo fine settimana ancora di più.

 

 

A tu per tu con il design di Milano: intervista a Ferruccio Laviani tra Veuve Cliquot e nuovi “banchi”

La scrivania non è quell’oggetto così desueto della casa come si crede. Di scrittoi ne hanno proposti molti durante questa Milano Design Week, di luoghi da cui scrivere, chattare, condividere nuovi progetti di design… non ne parliamo. Questo progetto in particolare ha però un mix di passato e presente insieme, è, come ci spiega l’architetto Ferruccio Laviani, “Un lavoro in stile, che racconta una storia, ma allo stesso è attuale per come è stato reinterpretato”.

Contemporanea è di certo la reintepretazione dela sua Veuve Cliquot Corrispondence Desk, la scrivania che fu di Madame Cliquot e che è tornata a raccontarsi con tanto di damina punk in via Pontaccio 19, nel “bureau de poste” allestito dalla maison di Champagne per il Fuorisalone 2014 – [LEGGI QUI IL PROGETTO] -. Questo incontro ci ha dato lo spunto per scrivere una nuova pagina sulla Design Week a tu per tu con uno dei maestri del Design non solo di Milano ma anche della nostra storia contemporanea.

Da questa scrivania sono partite le prime lettere di M.me Cliquot. Le lettere di un business aperto anche verso l’export, forse non a caso, proprio con un primo passo verso l’Italia. Le ritiene che l’Italia sia ancora un posto in cui far approdare buoni prodotti o da cui far partire oggetti d’eccellenza di creatività e design?
Io credo di sì. In mezzo a tutte le diatribe se Milano sia ancora o meno capitale del design, tuttora i designer internazionali più noti, le “star” alla Philippe Starck per intenderci, sono partiti dall’Italia o hanno cominciato collaborando con aziende italiane. Non dimentichiamoci che designer anche non italiani, per diventare famosi, sono venuti in Italia a fare i loro primi prodotti. Questo perché le aziende italiane hanno loro permesso di avere la visibilità che ancora oggi hanno.

Milano può essere ancora una culla di questo scambio?
Milano, per me, è ancora la capitale del design perché le aziende italiane e l’industria hanno sempre avuto un modo di lavorare – perché vengono dalla tradizione e dalla bottega artigiana ancora rinascimentale – e continuano a contare su tutto un network di piccoli artigiani che aiutano la grande azienda a creare tutte le volte un prodotto molto innovativo e molto versatile.
Inoltre, abbiamo un tipo di distribuzione che ha fatto scuola nel mondo, dal punto di vista del mobile italiano e del gusto italiano.
Infine, c’è un’energia nel fare che gli altri ci hanno invidiato per anni.
Milano è capitale del design perché c’è il design e perché la gente che approda al Salone del Mobile vi trova ancora il punto più importante in cui vedere queste cose. Sarebbe come non riconoscere a Londra il ruolo di capitale mondiale della musica. È vero che talvolta si sposta a Parigi, in Giappone… ma è altrettanto vero che è sempre stata la culla innovativa per quell’ambito.
Ciascuno ha le proprie peculiarità.

Il Salone del Mobile ha ancora ragione di esistere a Milano per come si sta sviluppando? Il Salone tout court è sempre meno considerato rispetto ad un Fuorisalone-star, legato ad un circuito di fuori saloni dove si trova di tutto di più…
Questo non è vero. Il Fuorisalone sta dimostrando, purtroppo, tutte le debolezze che lo fanno. Invece, la fiera ha sempre di più una sinergia tra gli espositori che la rendono sempre più importante e centrale in tutta questa manifestazione. Ecco perché tutti gli anni c’è un incremento del +5% circa di visitatori.
Dall’altra parte il Fuorisalone, che è nato in modo molto positivo, come energia che si trasponeva a quella istituzionale della fiera, è diventata sempre di più un luogo un po’ commerciale e abusato, anche da situazioni ben poco legate a questo ambito. Il risultato? Via Savona, via Tortona che sembravano delle valide alternative sono diventate dei luoghi in cui si vendono panini, birre e porchetta. Secondo me, se non stiamo attenti, la stessa fine l’avrà anche via Ventura e tutti gli altri.
C’è da calibrare bene le cose: uno esiste perché esiste l’altro. Esiste un Fuorisalone perché esiste un Salone…

Ha senso, però, che continuino ad esistere così?
Secondo me il Fuorisalone deve capire dove deve andare. Di energia positiva ce n’è dappertutto. Non sono negativo né per lui né per la fiera. Eppure, le cose possono continuare se ci sono delle idee.
Se “Fuori” diventa solo una possibilità commerciale per qualcuno per fare soldi senza capirne veramente lo spessore culturale, che è ciò che l’ha fatto diventare quello che è oggi, probabilmente perderà sempre più credibilità. E siccome di giovani ne abbiamo qua ma ne abbiamo anche all’interno della Fiera, nel Salone Satellite, certamente poi questa cosa ad un certo traslerà da un’altra parte. Io vedo che c’è una Fiera, indiscutibile, ed un Fuorisalone che è un altro tipo di appuntamento. Tutto funziona perché c’è una sinergia tra i due. Sta a chi la gestisce di gestirla nel modo migliore.

Tre nomi di giovani designer da seguire
Parlare di “giovani” è una cosa che non sopporto. Ho avuto nella vita l’opportunità di lavorare con Achille Castiglioni, l’ultimo progetto che ha fatto l’abbiamo creato a quattro mani, ed era una poltrona per Moroso che si chiamava 40/80 e fino a 83 anni era uno “da legare” per le sue continue idee e proposte. Non credo che sia un problema di età temporale: uno può avere delle idee a 20 anni o non averne, così come avviene per uno a 85 anni. È una questione di idee.
Io credo di più nelle idee che nelle persone. Tanto è vero che non ho mai lavorato su me stesso come immagini fisica ma sul lavoro che faccio. La gente non sa nemmeno che faccio ho, ma conosce molto bene i miei prodotti.
Dipende se uno vuole diventare famoso, allora è un altro mestiere…

I designer stanno diventando come i cuochi: molto cool..
Esatto. Ormai ci sono queste cose. Ma è una questione di qualità di idee. Credo ci siano molte idee da scoprire e da vedere. A volte anche da delle persone che si dà per scontato che non ne abbiano. Questo l’ho imparato facendo l’art director di aziende: nel senso che devi spogliarti dal tuo atteggiamento emotivo-emozionale nei confronti di alcune persone e analizzare in modo professionale quello che è il loro lavoro. Credo che lo stesso si debba fare per scoprire quelli che sono i veri talenti.

Milano è in grado di formarli? È una buona scuola?
Io credo nelle scuole e nella preparazione, ma su Milano ho qualche perplessità se devo essere sincero. Non vuol dire che, perché siamo la capitale del design, allora le scuole siano buone realmente.Trovo imbarazzante trovare da me i ragazzi che abbiano studiato in queste scuole, o la facoltà di architettura, e non abbiano un’infarinatura di base di quella che è la storia del design.
Una scuola che prepara dei designer non è buona se manca una parte propedeutica. Quello è fondamentale. Non dimentichiamoci che Picasso, prima di fare il cubista, era un autore di figurativismo: per quanto una fucina di idee, uno non può venire da me senza essere in grado di prendere la matita e di dimostrarmi, in uno schizzo, quello che intende fare.
Da questo punto di vista io sono abbastanza “Old school” e molto intransigente.

Ultimissima domanda: che cosa ne pensa di questa città che sale, a Milano. Io ho sempre questa immagine. Corso Como, la vecchia Milano, e poi i super grattacieli.
Non sono contrario alla costruzione di grattacieli, ma l’aspetto – se vogliamo – divertente di Milano era il suo carattere molto basso e trovavo che fosse questa una sua caratteristica. Non credo ci fosse la forzata necessità di creare questo tipo di skyline per renderla “moderna”. Che cosa vuol dire moderna, poi? Non mi danno emozioni. Non mi fanno sentire la città.
Con questo non voglio sembrare nostalgico: voglio dire che ciascuna città ha una sua caratteristica. Se questo vuol dire che stiamo andando avanti, lo accetto, ma torno a ribadire: ogni tanto mi chiedo – “Ce n’era bisogno?”. Question mark.

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